Cosa significhi il termine misofonia è abbastanza intuitivo. Quando i due audiologi Margaret e Pawel Jastreboff nel 2001 cercarono un termine si sono affidati al greco, individuando i termini misos, odio, e fonia, suono. Il loro intento era di individuare una specifica casistica di intolleranza al suono, non dovuto ad alterazioni delle vie uditive o dalle caratteristiche fisiche del suono.
L’identificazione di un termine specifico è stato un primo fondamentale passo per poter distinguere la misofonia da altre condizioni, come l’iperacusia, la fonofobia, la sensibilità al rumore e l’acufene.
Da quel momento diverse discipline si sono interessate al tema, soprattutto in ambito audiologico, neuroscientifico, psichiatrico e psicologico. Tuttavia, in questi studi la misofonia è stata definita in base a criteri e metodi molto diversi, rendendo difficile confrontare i risultati delle ricerche.
Perciò, nel 2020 ha preso avvio un processo condotto da un gruppo di esperti per sviluppare una definizione consensuale di misofonia. Un passo indubbiamente fondamentale per poter proseguire in maniera coerente la ricerca. Interessante è anche lo strumento che hanno deciso di utilizzare per raggiungere lo scopo prefissato: il metodo Delphi, un processo di costruzione del consenso nato negli anni ’60 che parte dal presupposto che i giudizi di gruppo siano più validi di quelli individuali. Lo strumento prevede cicli ripetuti di valutazione e di votazione per determinare il consenso in un gruppo di esperti con diverse competenze ed esperienze su un particolare argomento. In questo caso quindici esperti in vari campi (audiologia, neuroscienze, psicologia, neuropsicologia e psichiatria) hanno selezionato, valutato e votato una definizione comune di misofonia. L’intento era quello di condividere una definizione standardizzata, adottata da ricercatori, medici e professionisti, che potesse servire come base per sviluppare la ricerca interdisciplinare sul tema.
Dopo questo percorso durato due anni, la misofonia è stata descritta come un disturbo caratterizzato da una ridotta tolleranza a suoni specifici o stimoli associati a tali suoni. Questi stimoli, noti come trigger, vengono vissuti come spiacevoli o angoscianti e tendono ad evocare forti risposte emotive, fisiologiche e comportamentali negative, assenti nella maggior parte delle altre persone. Le risposte misofoniche non sembrano essere suscitate dal volume degli stimoli uditivi, ma piuttosto dallo schema o dal significato specifico attribuito dall’individuo.
Gli stimoli trigger sono spesso ripetitivi e includono principalmente, ma non esclusivamente, stimoli generati da un altro individuo, in particolare quelli prodotti dal corpo umano. Ogni persona può avere il proprio schema di trigger, ma i suoni orali sono i trigger più segnalati: masticare, mangiare, succhiare, tossire, schiarirsi la gola, deglutire. Sono comuni anche i suoni nasali, come respirare e annusare, quelli non orali/nasali, come i click della penna, digitare sulla tastiera, battere le dita o i piedi, e i suoni prodotti da oggetti, come il ticchettio di un orologio, o da animali.
Una volta rilevato uno stimolo trigger, i soggetti possono avere difficoltà a distrarsi dallo stimolo e possono sperimentare sofferenza, disagio e disfunzionalità nella vita quotidiana, relazionale, lavorativa e accademica, portando spesso a isolamento sociale.
L’espressione dei sintomi misofonici varia, così come la gravità. Le emozioni principalmente sperimentate sono la rabbia, l’irritazione, il disgusto e l’ansia. Gli stimoli misofonici possono provocare un aumento dell’eccitazione autonoma, come un aumento della tensione muscolare, della frequenza cardiaca e sudorazione. I trigger possono anche evocare forti reazioni comportamentali, come agitazione o aggressività dirette verso l’individuo che produce lo stimolo. Gli individui con misofonia spesso adottano comportamenti per mitigare le loro reazioni ai trigger, come evitare o fuggire da situazioni in cui incontrano stimoli trigger, cercare di interromperli o imitali e riprodurli.
In genere l’insorgenza avviene nell’infanzia o nella prima adolescenza.
La definizione proposta si propone di essere dinamica, invitando gli studiosi a rivalutarla e rivederla man mano che la comprensione della misofonia da parte della comunità clinica e della ricerca evolve. Esso dunque rappresenta un punto di partenza, non un punto di arrivo.
La ricerca negli ultimissimi anni si sta concentrando sull’individuazione di criteri diagnostici definiti, altro passo fondamentale per delineare con accuratezza il disturbo e uniformare gli studi ad esso dedicati.
Per approfondire:
Swedo, S. E., Baguley, D. M., Denys, D., Dixon, L. J., Erfanian, M., Fioretti, A., Jastreboff, P. J., Kumar, S., Rosenthal, M. Z., Rouw, R., Schiller, D., Simner, J., Storch, E. A., Taylor, S., Werff, K. R. V., Altimus, C. M., & Raver, S. M. (2022). Consensus definition of misophonia: A Delphi study. Frontiers in Neuroscience, 16, 841816, disponibile all’indirizzo:
https://www.frontiersin.org/journals/neuroscience/articles/10.3389/fnins.2022.841816/full